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Nel Consiglio Comunale del 5 Febbraio l’attuale maggioranza di Centro Destra che regge il comune di Cernobbio intendeva approvare il conferimento dell’acquedotto comunale alla Comoacqua s.r.l. uniformandosi così alle direttive regionali del 2006 che stabilivano i criteri di privatizzazione della gestione dell’acqua.  La decisione è rientrata e il provvedimento è stato sospeso per i fatti nuovi che vengono dalla stessa Regione Lombardia.


La legge regionale 18 del 2006 obbligava ad una gestione degli acquedotti centralizzata per ambito territoriale ottimale (il cosiddetto ATO) costituendo delle società patrimoniali con il compito di appaltare la gestione a privati. Queste società erano a loro volta aperte alla partecipazione di capitali finanziari privati.  Anche a Como si delineava l’obbligo per i 163 Comuni comaschi costituenti l’ambito territoriale di conferire reti ed impianti comunali alla società Comoacqua s.r.l. di recente costituzione. 

 

Il 28 Gennaio scorso il Consiglio Regionale ha modificato con voto unanime la legge 18 eliminando l’obbligo di conferimento degli acquedotti e ristabilendo così la facoltà di autodeterminazione dei comuni. Si interrompe il percorso che sembrava dover portare la gestione dell’acqua verso una inesorabile privatizzazione.

 

Questo risultato è stato possibile grazie ad un vasto movimento di 144 sindaci lombardi di ogni colore politico che si sono riuniti in comitato contro la privatizzazione. Sotto la minaccia di un referendum regionale contro la legge 18 del 2006 la regione è corsa ai ripari.  Va detto che ha contribuito a questa decisione anche un clima mutato rispetto al tema delle privatizzazioni.  Infatti mentre fino a due anni fa sembrava che i privati dovessero essere la soluzione di ogni problema, ora queste convinzioni sembrano incrinarsi dopo aver verificato come certi esempi di privatizzazione non abbiano prodotto gli effetti desiderati. Per l’acqua valgono gli esempi di Latina e Aprilia dove i privati hanno prodotto pochi investimenti, un aumento forte delle tariffe e un decadimento della qualità di questo bene primario.   Altro esempio è il settore della sanità dove il dilagare delle convenzioni coi privati ha portato ad un eccesso di prestazioni anche non necessarie pur di fare cassa.  Queste esperienze dimostrano che quando si tratta della salute è meglio ricercare l’efficienza nell’ambito di una gestione pubblica che metta l’individuo e non il profitto nell’ordine delle priorità.

 

L’attuale governo non sembra dello stesso avviso. Infatti il 6 Agosto del 2008 ha inserito, alla chetichella, un articolo (23 bis) nella legge 133 (quella tanto discussa sul taglio dei finanziamenti alla università) che definisce l’acqua come “servizio pubblico di rilevanza economica”, da gestire quindi in regime di concorrenza.

 

Naturalmente il problema dell’acqua è ben lungi dall’essere risolto. Rimangono i problemi che sono: una rete di distribuzione vecchia e con pesanti perdite, la necessità di grossi investimenti, la difficoltà dei comuni di reperire le risorse economiche e progettuali, gli impianti di depurazione insufficienti o che funzionano male come per esempio, dalle nostre parti,  il nuovo depuratore  di Colonno.

Tag(s) : #Servizi
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